Da "Il Riformista" di domenica 31 luglio 2011
L’Olimpiade delle clanfe
Il tuffo che salverà Trieste
ADRIATICO AGITATO. È molto più di una (quasi) panciata. È un gesto che spiega lo spirito della città. Dissacrando le paranoie leghiste sull'identità.
DI ANDREA LUCHETTA
Davvero basta un tuffo a spiegare una città? No, certo che no. Anche se a guardare con attenzione al lungomare di Trieste un piccolo dubbio potrebbe insinuarsi.
Decine di ragazzi, ogni giorno d’estate, si lanciano da moli e trampolini con tutta l’aria di cercare una panciata. Respiro, stacco e corpo offerto in posizione parallela al mare. Poi, un istante prima del disastro,gli impavidi si chiudono a riccio e salutano l’ingresso in acqua con un poderoso colpo di bacino. Il risultato è una fontana di schizzi, destinata a colpire i vecchi distesi al sole e le “mule” - le ragazze - che fingono disinteresse per un rituale amoroso le cui origini si perdono nel mito. È la clanfa, il tuffo che sta a Trieste come il jogging a New York.
La clanfa - letteralmente “ferro di cavallo” - è una questione filosofica, mica atletica. Più che un tuffo nel mare, è un’immersione nella triestinità. E allora anche un elemento così improbabile si trasforma in un prisma, una lente attraverso cui indovinare il profilo di una città enigmatica per i suoi stessi abitanti.
Parlare di clanfe significa parlare di identità. Discorso dissacrante e poco plausibile, viste le premesse, ma pur sempre spinoso.
Osservatorio privilegiato, manco a dirlo, l’Olimpiade delle clanfe che lo stabilimento Ausonia ospita da quattro anni, a un passo dall’imbarco dei traghetti turchi. Fra i 200 partecipanti dell’edizione 2011 c’è chi è venuto da Roma, Milano, Napoli. Alcuni temerari si sono presentati da Udine, che nell'immaginario giuliano si colloca giusto un passo dietro a bin Laden quanto a malvagità.
Andrea Pecile è l’uomo che nel 2005 decise i Giochi del Mediterraneo con un canestro da tre punti, strappando l’oro dalle mani dei giocatori greci a fil di sirena. La prossima stagione giocherà a Jesi, e la vicinanza al mare faciliterà la sua opera di diffusione del Verbo clanfesco. «In testa ho un mito. È un signore di 55 anni che la scorsa estate stava ascoltando la radio mentre pranzava con la moglie. A un certo punto il dj ha ricordato che era in corso l’Olimpiade. Lui s’è alzato, ha biascicato qualcosa del genere “non possono far clanfe senza di me” e ha lasciato la moglie su due piedi per presentarsi all'Ausonia. Giuro che è successo. Questo è il “morbin” triestino», un concetto intraducibile a cavallo fra brio, umorismo e inventiva.
Patrick Karlsen, poco più di trent'anni, è stato appena eletto consigliere comunale dopo una campagna condotta su YouTube a furia di “morbin”, fra uno sketch e un discorso impegnato. «La triestinità esiste, certo, e il suo nucleo ruota intorno al porto. È l’ironia, il distacco, l’apertura mentale che ci vengono dal mare. Senza le navi saremmo rimasti un borgo asfittico». Non che negli ultimi decenni in città si sia respirata un’aria purissima. «Esiste uno scollamento fra la Trieste di oggi e la sua identità. È una città pigra, vecchia, in cui il problema demografico rappresenta ilnodo decisivo. Spetta alle persone sotto i 40 anni tentare di rianimarla» prosegue Karlsen. «Le vecchie generazioni sono imprigionate nelle gabbie mentali del passato», che da queste parti significano ancora e soprattutto cortina di ferro, Tito, foibe, Ventennio. «Quelli che hanno in mano la città sono cresciuti all'ombra dell’assistenzialismo, hanno goduto di una contingenza fortunata. Ma oggi non ci sono più gli jugoslavi in fila per comprare i nostri jeans. Bisogna inventarsi qualcos'altro». Ben venga, allora, l’Olimpiade delle clanfe: «È un segno di vitalità, un’opera di riscoperta: il simbolo di una città che vuole continuare a vivere».
Volendo proprio sprofondare nel ridicolo, potremmo dire che la manifestazione dell’Ausonia rappresenta la parodia dell’opera di costruzione dell’identità di un “popolo”. Perché mette al centro dell’essere triestini un “mito” - la clanfa - tanto improbabile quanto evocativo di valori ben precisi.
L’Olimpiade dell’Ausonia dissacra il fanatismo dell’appartenenza. È la miglior risposta possibile ai “Templari della Val Brembana” che Bossi ha portato sul palco di Pontida per assistere al giuramento dei sindaci padani, fra squilli di tromba e spezzoni di Braveheart.
L’identità triestina celebrata dalle clanfe - per quanto in modo paradossale - non si rifà ad alcun panorama claustrofobico. Niente razza Piave o battaglie di Kosovo Polje, ma valori universali e pacifici come l’autoironia. Una sorta di localismo cosmopolita. Naturale, per chi ha il mare come orizzonte. Un dato di fatto combattuto dai Signori del clientelismo prosperati nella Trieste declinante del dopoguerra che hanno coltivato un’identità da sagra di periferia e orchestra del liscio.
Essere triestini, secondo la declinazione della clanfa, non richiede affatto di essere nati all'ombra di San Giusto. Come ha dimostrato l’anno scorso un ragazzo friulano, che si è tuffato dal trampolino dell’Ausonia avvolto in una bandiera dell’Udinese. Impossibile essere più triestini di lui in quel momento. Con buona pace delle rispettive curve ultrà, i cui scontri negli Anni ’80 sono costati la vita a Stefano Furlan, un ragazzo triestino - ironia del cognome - ucciso dalla polizia nel marasma di un derby.
Sia chiaro, l’Olimpiade è tutto fuorché un’operazione ideologica. «Volevamo divertirci. Mangiare, bere e vedere chi schizzava di più» sintetizzano gli organizzatori. È la filosofia di “Viva l’A. e po’ bon” (più o meno traducibile in “Viva l’Austria e va bene così”), vero inno della città: «Che la vadi ben, che la vadi mal, sempre allegri mai passion, viva l’A. e po’ bon».
E però forse non è un caso se il “morbin” triestino è tornato a colpire in questi anni.
Roberto Cosolini è il primo sindaco di Trieste ad aver militato nel Pc. Ha vinto le elezioni della scorsa primavera, complici anche le fratture di una destra assorbita dalle sue guerre clientelari. Un passaggio storico per una città che - tolta l’eccezione Illy - ha sempre votato conservatore. «Andrò all'Olimpiade, questo è sicuro» ci racconta due giorni prima della competizione. «Ma non chiedetemi di tuffarmi. Ci ho provato questa settimana, ho rinunciato dopo due tentativi disastrosi».
«Farà meglio a venire, altrimenti sarà la prima promessa elettorale non mantenuta » scherza Diego Manna, etologo e massimo teorico vivente della clanfa. Manna, subito dopo le elezioni, ha pubblicato Il libretto rosso di Cosolini, un volumetto in cui ha raccolto le migliori battute originate dalle accuse del Pdl durante l’ultima campagna, sul genere “Se vince Pisapia…”. Caratteri che scimmiottano il cirillico e copertina in stile Minculpop, il libro è un perfetto esempio di “morbin”.
«La Red Bull quest’anno sponsorizza l’Olimpiade» dice Diego. «Regalerà ai vincitori un biglietto per il Moto Gp di San Marino». «Fra di noi ci siamo promessi che - se mai si dovesse presentare la possibilità - non accetteremmo di snaturare la manifestazione. Impensabile che un giorno si possa chiamare “Olimpiade delle clanfe Nike” o qualcosa del genere. Vogliamo che rimanga una festa popolare, che parta dal basso» ride sornione, avendo compreso benissimo il senso dell’intervista.
L’ultima parola spetta al maestro Pecile, ambasciatore e filosofo del movimento: «La clanfa può attecchire ovunque. Ho ricevuto dei video di emuli dalla Sardegna e dalla Sicilia. Se ci concentriamo sul lavoro indoor, sono pronto a scommettere che la prossima conquista sarà Milano».
ANDREA LUCHETTA. Clanfador di infimo livello. Lavora al “Riformista”, sezione Esteri, e collabora con l’inserto della “Gazzetta dello Sport” sul calcio nel mondo.
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