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2012 FdD10 il doping un problema sociale locandina WEBSPIZ Associazione di Promozione Sociale contribuisce alla Decima Edizione del Festival delle Diversità con una conferenza-dibattito intitolata:

"Il doping, una piaga sociale"

Se lo sport vuole essere un mezzo di formazione dell'uomo e del cittadino, esso risulta incompatibile con qualsiasi frode e l'atleta deve affidare solamente alla sua forza, resistenza, intelligenza motoria, alla sua costanza e dedizione nell'allenamento, alla sua motivazione interiore il raggiungimento del risultato: qualsiasi altro mezzo risulta inaccettabile sia sul piano della salute che della morale.

Relatore: Dino Schorn. Personal trainer certificato ISSA Italia, insegnante di educazione fisica presso istituti di formazione professionale e di ginnastica per la terza età presso la Pro Senectute, ex azzurro di nuoto, primatista mondiale e campione europeo master, collabora con l'ANFFAS, il Gruppo Diversamente Abili della piscina Acquamarina ed il CONI all'interno del progetto "Giocosport" presso due scuole elementari. Atleta immagine per Gaia Club, Bora Nera, Il Giulia e ProAction.

sabato 30 giugno 2012 ore 16:00

spazioSPIZ - via Giacomo Matteotti 20/a - Trieste

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Sull'argomento è stato pubblicato un intervento del relatore Dino Schorn su Konrad, il mensile del vivere naturale del mese di Marzo 2012.

Il doping, una piaga sociale
di Dino Schorn

Durante una recente edizione dei Giochi venne istituito, all'interno del villaggio olimpico, un sondaggio in forma anonima dove veniva chiesto all'intervistato se fosse disposto a vivere meno pur di vincere l'oro olimpico. L'esito (sorprendente?) fu che i sì furono i tre quarti del totale delle risposte. Ora, se dai migliori atleti al mondo i giovani assorbono questo "insegnamento", in che modo questi ultimi proveranno ad emulare i loro idoli? Lo sport è parte integrante della vita dell'individuo e, dunque, del cittadino. Il principio di lealtà ed il rispetto per l'avversario (e dunque per il prossimo) dovrebbero essere alla base dello sport, sia esso ricreativo/amatoriale o agonistico. Delle motivazioni che portano ad intraprendere scorciatoie per arrivare prima al raggiungimento del risultato, a livello civico leggiamo e sentiamo ogni giorno (tangenti per ottenere appalti, raccomandazioni per favorire carriere, etc.): sarà immorale ma solo così si arriva prima e con meno fatica. Se lo sport quindi è un aspetto della società perché non dovrebbe rappresentarne l'essenza? Perché lo specchio non dovrebbe rimandare la sua (a volte sporca) immagine? L'assunzione di sostanze dopanti rappresenta ormai un fenomeno di rilievo che è condannabile in quanto vìola i principi di correttezza e di onestà che stanno alla base dell'etica sportiva oltre che comportare gravi rischi per la salute, immediati e futuri. Questa realtà è molto diffusa anche al di fuori degli sport olimpici, interessando in modo importante il mondo di chi frequenta le migliaia di palestre sparse sul territorio nazionale e le categorie di atleti più giovani fino agli sportivi amatoriali.
Il doping non è solo un problema sanitario farmacologico ma rappresenta pure un'importante questione sociale e psicologica, sia per le motivazioni che portano l'atleta ad avvicinarsi a questa pratica illecita, sia per le conseguenze che da essa derivano. Chi non è ben addentrato nella realtà sportiva difficilmente può pensare che sostanze proibite agli atleti professionisti facciano parte dell'"armadietto" dell'atleta ricreativo/amatoriale (o master) e pure di giovanissimi dilettanti. Cause psicologiche e sociali che portano l'individuo a ricorrere a tali sostanze sono l'acquisire sicurezza nei propri mezzi, la ricerca della perfezione e del risultato ad ogni costo, l'emulazione degli atleti di alto livello, la pressione dell'ambiente che lo circonda (sia sportivo che familiare) e non per ultima la convinzione che anche gli altri lo facciano. Circa l'ambiente c'è da segnalare l'atteggiamento senza scrupoli di medici, allenatori ed altre figure che circondano gli atleti che li porta ad incoraggiarli o, ancor peggio, a fornir loro sostanze illecite. È difficile definire chi sia maggiormente responsabile di questo inquinamento che affligge lo sport e se l'atleta ne sia vittima colpevole. Risulta ovvio far notare che dietro a tutte queste "fragilità" umane ci sono speculazioni economiche del tutto estranee alla pura filosofia sportiva. Il doping nello sport non costituisce un fenomeno nuovo. Mentre la parola "doping" apparve per la prima volta in un dizionario inglese nel 1879, l'uso di droghe è presente in tutta la storia dello sport. Si pensa che la parola abbia origine dal linguaggio sudafricano: "dope" si riferisce a una bevanda alcolica primitiva usata come stimolante durante le danze cerimoniali. Già durante i Giochi dell'era antica si utilizzavano infusi ed estratti di erbe o alcolici per tentare di migliorare artificialmente le prestazioni atletiche. Nel tardo Impero Romano vengono aboliti i Giochi ed avviene il decadimento dello sport che perdura fino al XIX secolo, quando le attività sportive tornano ad occupare il tempo libero e ad assumere rilievo sociale. Ricompare allora l'idea di doping che utilizza allo scopo sostanze quali l'oppio, la stricnina, gli alcolici, la caffeina, la nitroglicerina. Nel 1886 la prima morte registrata è quella del ciclista Liton per overdose di trimetril. Nel 1904 muore il maratoneta Thomas Hicks che aveva usato una mistura di brandy e stricnina. La caffeina, l'eroina e la cocaina erano molto usate finché le ultime due divennero disponibili solo su prescrizione medica.
Dagli anni '30 iniziò la produzione di anfetamine che diventarono l'alternativa alla stricnina. Queste diminuivano il senso della fatica e davano una sensazione di potenza fisica e mentale ma era pure certa una dipendenza fisica, per cui alla sospensione dell'assunzione comparivano sintomi da astinenza come sudorazione e tremori. Dagli anni '50 la squadra sovietica adottò l'uso di ormoni maschili per aumentare la potenza muscolare e gli americani, come risposta, iniziarono la produzione e l'uso degli steroidi di sintesi. Nel 1960, alle Olimpiadi di Roma, il ciclista danese Durt Jensen morì per un collasso causato da una eccessiva dose di anfetamine. Nel 1964 furono ben visibili a tutti i considerevoli aumenti delle masse muscolari degli atleti che parteciparono alle Olimpiadi di Tokyo. Tre anni più tardi il CIO decise su una definizione di doping e produsse un elenco di sostanze proibite e ai Giochi entrò la pratica dei testanti doping. Nel 1988, Olimpiadi di Seul, ci fu l'annullamento dell'oro e del record del mondo di Ben Johnson sui 100 metri piani per uso di anabolizzanti con conseguente sospensione per due anni dalle competizioni. Negli ultimi decenni intanto hanno fatto la loro comparsa l'ormone della crescita, l'eritropoietina ed altre metodiche, tra le quali l'auto-emotrasfusione. A tal proposito ricordo che, quindicenne, seguivo alla tv le Olimpiadi di Los Angeles quando ancora era consentita tale pratica ma ricordo pure le numerose controprestazioni, soprattutto nel nuoto. Sulle pagine de "La gazzetta dello sport" lessi che, per giustificare una gara molto deludente, un azzurro campione e primatista europeo appena l'anno precedente lamentò uno svenimento in doccia... L'autotrasfusione risultava però essere pericolosa (rischi di edema polmonare, emolisi, infezioni, etc.) ed ecco la comparsa sul mercato dell'eritropoietina di sintesi (Epo), ossigenante del sangue di nuova generazione - ora soppiantato dal Cera - che incrementava il livello di ematocrito (ossia il numero di globuli rossi) senza dover allenarsi in quota dove, grazie alla carenza di ossigeno, si stimolava naturalmente la produzione di eritropoietina (metodica questa utilizzata fino agli anni '70). Naturalmente la lista degli effetti collaterali è sempre più lunga di quella dei "benefici" per l'atleta: per quanto riguarda l'Epo, ad esempio, a fronte delle qualità appena elencate troviamo a fare da contraltare l'ictus, l'infarto cardiaco ed intestinale, la trombosi; con gli ormoni anabolizzanti aumentano sì le masse muscolari e di conseguenza la forza ma poi, con la loro assunzione, si verificano sterilità nei maschi, virilizzazione nelle femmine, disfunzioni ormonali e metaboliche, blocco della crescita, disturbi psichici (queste sostanze, il testosterone in particolare, provocano aggressività), acne e cancro al fegato. Come possiamo vedere nel corso del Novecento c'è stato un sistematico ricorso a sostanze farmacologiche sempre nuove ma c'è da dire che la lotta a questa pratica fraudolenta è nata in Italia nel 1954 e nel 1961 fu aperto a Firenze il primo laboratorio europeo di analisi antidoping. È del 1960 l'appello di Avery Brundage, allora presidente del CIO, contro l'abuso di anfetamine. Tornando in Italia ricordiamo le campagne nazionali del Coni "Io non rischio la salute" (1997) e "La mia vita prima di tutto" (2001-2002). Repressione e prevenzione sono quindi le uniche armi che possano contenere il fenomeno e dico contenere da atleta ormai disilluso e certo che i medici che lavorano per il doping saranno sempre un passo avanti ai colleghi onesti che al contrario lavorano per azzerarlo. Repressione attraverso sanzioni penali e disciplinari; prevenzione attraverso educazione, cultura, vigilanza farmacologica, informazione, azione deterrente delle leggi e supporto dello specialista in medicina dello sport. La responsabilità morale è di tutti coloro che operano nel campo dello sport e la società sportiva (presidente, dirigenti, tecnici, medici e qualsiasi altra persona che appartenga alla stessa) deve curare e gestire al meglio gli atleti oltre che avere il dovere morale di salvaguardarne l'integrità psico-fisica. Non si deve dimenticare che i genitori affidano a questa i propri figli-atleti aspettandosi che lo sport che praticano aiuti a migliorare la loro condizione fisica e psichica o che, comunque, non ne abbiano danno. I ragazzi instaurano un rapporto di fiducia, in particolare con il proprio allenatore/educatore o con il medico, che non può essere tradito ed utilizzato con il solo fine di ottenere risultati per la propria società dimenticandosi dell'atleta come singola persona, non solo "fisica" ma anche "psichica". Probabilmente la sola via per combattere questa vera e propria piaga che affligge lo sport derivi da una corretta nozione del problema e dalla presa di coscienza dello stesso da parte di tutti; sono fermamente convinto che le fondamenta per la lotta al doping debbano essere gettate dai tecnici societari: sono loro a dover svolgere il ruolo di educatori/formatori, loro ad insegnare che il tentare di ottenere il risultato ad ogni costo non deve generare la giustificazione e la convinzione che sia giusto ricorrere al doping, loro ad aiutare i ragazzi a costruire una corretta autostima e, soprattutto, loro ad insegnare l'accettazione dei propri limiti.
Ritengo importante chiudere questo articolo con la considerazione di uno specialista in medicina dello sport: "Se lo sport vuole essere un mezzo di formazione dell'uomo e del cittadino, esso risulta incompatibile con qualsiasi frode e l'atleta deve affidare solamente alla sua forza, resistenza, intelligenza motoria, alla sua costanza e dedizione nell'allenamento, alla sua motivazione interiore il raggiungimento del risultato: qualsiasi altro mezzo risulta inaccettabile sia sul piano della salute che della morale". Invito i lettori ad esprimere la loro opinione scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., magari dopo aver letto il link sul doping che trovate sul sito www.dinoschorn.it.

Dino Schorn

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