Da
di Trieste di lunedì 29 giugno 2015
Spugne, scope e pennelli
In cento al “Topolini day”
Triestini e kosovari insieme per pulire il tratto di lungomare diventato “covo” dei bulli
A rimboccarsi le maniche famiglie con bambini, volontari della Spiz e ultrà della Furlan
di Luca Saviano
Hanno portato la pittura, lo spray necessario per sciogliere le scritte, i pennelli, le scope e le spugnette abrasive. Hanno lasciato a casa la retorica nazionalista, quella che aveva inquinato in un primo momento l’iniziativa e aveva rischiato di trasformarla in un ritrovo di nostalgici del manganello e delle maniere forti. L’avevano battezzata “la riconquista dei Topolini”, lasciando campo libero, specie sui social network, ai professionisti della speculazione. In molti avevano tentato di mettervi il proprio marchio, accodandosi a un carrozzone che, di giorno in giorno, ha ricevuto sempre più consensi, tanto da richiamare l’interesse delle testate e delle televisioni nazionali. Quella andata in scena ieri, fra il nono e il decimo Topolino, ha assunto invece i toni e le peculiarità della festa. Oltre un centinaio di persone hanno risposto alla chiamata del boxeur Fabio Tuiach e dell’associazione Spiz, le cui proposte hanno trovato una convergenza comune nel «rispetto della legalità, contro qualsiasi forma di discriminazione etnica e razziale».
E così ai Topolini si sono presentate le diverse anime di questa città: dai duri e puri che frequentano la Curva Furlan, alle volontarie del Centro delle culture di Trieste, che si occupano di alfabetizzazione delle persone straniere. Tutti hanno rinunciato alla propria bandiera, si sono tirati su le maniche e hanno dato una bella dimostrazione di cittadinanza attiva. «Proviamo a vedere se l’esempio dal basso funziona - ha raccontato il presidente della Spiz Mauro Vascotto, quello delle “clanfe” e della Rampigada Santa - . Il nostro intento è quello di ribadire il rispetto della cosa pubblica. La maleducazione, come la civiltà, non hanno bandiere».
Vascotto ha raggiunto il lungomare di Barcola in compagnia della moglie e del figlio Matteo di 4 anni. Lo stesso Tuiach si è portato al seguito la famiglia, per ribadire che «a Trieste non ci possono essere zone franche, luoghi preclusi agli altri con la prepotenza».
L’intera iniziativa ha visto la partecipazione di molti bambini. Stefano, 8 anni, è arrivato insieme al padre Marco Sciucca, «per pulire e fare la nostra parte». «Ho voluto dimostrare a mio figlio - ha spiegato Sciucca - che bisogna smettere di lamentarsi e attribuire le colpe agli altri. Il fatto che alcune scritte siano state fatte da dei ragazzi kosovari non ci riguarda affatto. Tutti noi dobbiamo recuperare il senso civico e la volontà di spenderci in prima persona per cambiare le cose».
La bolla mediatica che ha accompagnato questa iniziativa, già a partire dalla rissa di via del Toro, si è sgonfiata nel giro di poco tempo e anche la visione che voleva alcune zone di Trieste in mano a bande di pericolosi criminali balcanici è stata archiviata. Un grosso contributo a questa operazione di pacificazione è stato dato da Gazmend Muqa, il ragazzo kosovaro che per primo, lontano dalle troupe televisive, aveva agito di spugna e olio di gomito per cancellare quelle scritte che «offendevano per primi i miei connazionali». Muqa si è presentato in compagnia della famiglia e di una ventina di kosovari.
Già sabato sera, lui che lavora da oltre quindici anni nell'edilizia, ha iniziato a ripulire i Topolini. Moltissimi italiani hanno apprezzato il suo gesto, che è stato esaltato anche all'interno della sua stessa comunità.
Alcune voci hanno anche assicurato che «gli autori della rissa e di alcuni atti di bullismo sono stati messi in riga dai propri genitori», lasciando intendere che qualche ceffone “pedagogico” deve essere volato in famiglia. Le stesse forze di polizia, che discretamente hanno vigilato da lontano sull'insolito assembramento, «hanno dichiarato che da un fatto di cronaca, pur stigmatizzabile, si è creato un caso nazionale».
Trieste ha dato dimostrazione di non voler scendere a patti con l’inciviltà, senza dimenticare la propria vocazione tollerante, quella che nei secoli l’ha resa una città multietnica. L’odore dell’alcol etilico e dei detergenti messi a disposizione dal Comune ha lasciato spazio al profumo del prosciutto cotto in crosta di pane e dei krapfen portati dai cittadini. Le “clanfe” finali hanno stemperato definitivamente il clima che qualcuno voleva teso. La stretta di mano fra Tuiach e Muqa di qualche giorno fa si è ripetuta per altre decine di volte, diventando il simbolo di questa iniziativa.
Luca Saviano
“Rebechin” finale con cotto in crosta e Lasko
Prima le guantiere con i krapfen, poi la morsa con il prosciutto caldo, rigorosamente cotto nel pane. Non sono mancate le casse di birra Lasko, a garantire una certa internazionalità ai brindisi. I lavori di cancellazione delle scritte e di ripitturazione dei Topolini non hanno impedito ai presenti di godersi un “terzo tempo”. In molti si sono incontrati per la prima volta ai Topolini, complice il tamtam su facebook. Di politici nemmeno l’ombra. «Meglio così», sottolineano da più parti. Doveva essere un’iniziativa spontanea. Così è stato. E le scritte cancellate? Alcune inneggianti al Kosovo, in mezzo a molte altre italiane. Una esaltava la Juventus: «L’abbiamo cancellata con più gusto», così alcuni dei presenti.
(lu.sa.)
Da evento a rischio a festa della convivenza
Scongiurate le dimostrazioni di intolleranza verso gli stranieri. «La formula giusta è l’inclusione»
È un Fabio Tuiach che non ti aspetti, quello incontrato al decimo Topolino. In molti, su facebook, avevano definito la sua presenza a questa iniziativa come quella di un “maschio alfa”, impegnato a difendere il territorio con i muscoli e con i denti. E forse, in prima battuta, la sua proposta aveva preso questa piega. Lui stesso aveva rivendicato «di non essere un intellettuale, di essere abituato a muovere i muscoli, più che a dosare le parole». Nel giorno che lo vede protagonista, neanche dovesse difendere il titolo italiano, Tuiach dimostra invece di non avere solo un gancio velenoso, ma di saper disporre anche di argomenti solidi.
Dopo le spiegazioni di rito che lo vogliono ai Topolini «per combattere le prepotenze dei bulli e permettere a chiunque di godersi il mare in santa pace», Tuiach non ha esitato a mostrare il suo lato più fragile, quello che appartiene a un passato da «ragazzo difficile». «Ero come loro - spiega alludendo agli autori dei vandalismi e degli atti di bullismo, usando dei toni che quasi tradiscono una forma di affetto - , un ragazzo problematico. La boxe mi ha letteralmente tolto dalla strada e mi ha reso una persona migliore. Poco importa se non diventerò un campione mondiale, sicuramente crescerò dei bambini che sapranno vivere meglio di come ho vissuto io». Il boxeur triestino non si limita a descrivere la parabola dell'adolescente che si riscatta grazie al pugilato, ma sceglie di parlare anche di fede, un aspetto ampiamente testimoniato dai tatuaggi religiosi che ricoprono il suo corpo. «La fede mi ha aiutato dopo alcune brutte esperienze di vita - racconta Tuiach - . Mi spinge a essere una persona migliore. È ciò che auguro anche a quei ragazzi kosovari. Spero che riescano a trovare la loro strada e a smarcarsi da certe dinamiche violente».
Gazmend Muqa, pochi metri più in là, abbandona per un attimo gli attrezzi del mestiere, con i quali sta riportando a nuovo i Topolini. In Italia dal 1999, quando aveva diciotto anni, Muqa non ha dubbi sul fatto che si possa voltare pagina e pensare a una Trieste che divenga un laboratorio di integrazione. «Bashkejetes», esclama in albanese. «Convivenza», ripete in perfetto italiano. Sembra essere questa la sua ricetta per superare le tensioni che hanno preceduto il “Topolini day”. «Sono state dette delle inesattezze – precisa Muqa - . Non c’è alcuna tensione in città fra serbi e kosovari. Conviviamo da anni senza alcun problema».
Di convivenza parlano anche Alessia, Serena, Giulia e Marta. Volontariamente insegnano agli stranieri l’italiano, presso la biblioteca comunale di San Giacomo: «Siamo qui per la legalità - spiegano - e per dimostrare che l’inclusione è l’unica via percorribile per costruire una società migliore». Giancarlo, 43 anni e un vistoso tatuaggio degli Ultras Trieste sul braccio, parla di «amore per l’Italia. Ben vengano gli stranieri, a patto che si vogliano integrare nella comunità che li ospita».
(lu.sa.)
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